Chiarisco. Il titolo "Ragionando sulla scienza politica" non deve fra pensare che vi sia da parte mia la pretesa di approfondire un tema tanto complesso. Saranno semplicemente note sulle quali riflettere.
Il
proposito, d'altronde, di questo blog non è, ovviamente, dare risposte, intanto perché
andrebbe oltre le possibilità del sottoscritto e in secondo luogo perché le
risposte, il più delle volte, si possono comporre solo in un lasso di tempo
relativamente lungo osservando il modificarsi degli avvenimenti. Molto più
modestamente spero di stimolare, attraverso un flusso un po’ appassionato, una
riflessione su alcuni argomenti che tanto più in questo momento mi sembrano
stringenti.
Si sente sempre più spesso parlare
di democrazia, anche se sarebbe più corretto parlare di democrazie, ma affrontare tale argomento impone di considerare la possibilità di un agire
politico concreto e nello stesso tempo non esclusivamente confinato alla mera
prospettiva di una scienza della politica, se questa esiste ed è possibile,
questione che potrebbe rilanciare il dibattito sulla funzione ideologica
della scienza. Mi soffermerò, dunque, alcune righe a esaminare la questione della
“scienza politica”, dispensandoci in questa sede dell’interrogarci su questioni
metodologiche che possono essere solo oggetto di disputa specialistica.
Concedetemi una metafora per semplificare questioni che altrimenti esigerebbero
troppo spazio. Allora, direi che - la scienza politica può essere considerata una
chiave -.
Una
chiave sicuramente utile se intendiamo aprire la porta che ci permette di
entrare in una certa stanza, ma quella porta particolare e non un’altra. Se la
stanza in cui vogliamo entrare è tutt’altra quella chiave risulterà inservibile
al nostro scopo. Se le stanze rappresentano la concezione che abbiamo del mondo
in cui aspiriamo vivere la scelta della porta non dipende dalla chiave, bensì
dal nostro proposito (o se si preferisce desiderio). Questo ragionamento
sottintende, ovviamente, alcuni giudizi di valore e mi si dirà che la scienza
politica è stata edificata opportunamente per evitare tale dato
irrazionalistico.
La
scienza della politica, infatti, non si occupa del “mondo” in cui aspiriamo a
vivere, ma più correttamente e concretamente di quello esistente. La questione,
però, è che il “mondo”, quel mondo che la scienza politica si studia di capire
e analizzare si trasforma dinamicamente in base al perseguimento di progetti e
modelli esistenti nelle intenzioni di qualcuno, che questi sia una classe, per
esempio la borghesia, oppure un monarca assoluto. Intanto è evidente, per
restare nella metafora, che debba essere plausibile l’esistenza di una porta
diversa, ma ciò che può apparire inopinabile oggi può essere concepibile
domani.
Cento
anni fa poteva non apparire plausibile nella nostra società occidentale il matrimonio tra omosessuali:
oggi lo è! E per quanto personalmente possa sforzarmi di capire non riesco a
immaginare come le “categorie interpretative” della scienza politica avrebbero
potuto non solo individuare una cosa inesistente (la volontà di
istituzionalizzare il matrimonio omosessuale), ma renderlo almeno plausibile
alla maggioranza.
Karl Mannheim in Ideologia e Utopia fa riferimento alla possibilità di fondare una scienza capace di dare risposte alle situazioni concrete definendo, in un certo senso, la base di questa scienza “Il tentativo di eludere le deformazioni ideologiche e utopiche è, in ultima analisi, un’indagine della realtà. Queste due concezioni ci forniscono la base di un sano scetticismo e sono in grado di essere positivamente utilizzate per evitare quegli errori cui il nostro pensiero potrebbe indurci.” 1
Se
osserviamo da vicino il contesto storico in cui Mannheim scrive, il finire
degli anni ’20, sono gli anni in cui Stalin è già salito al potere, il fascismo
si è orami affermato in tutti i suoi aspetti e la crisi economica comincia a
dilagare. Un periodo contrassegnato da una sorta di irrazionalismo economico,
politico e, non da ultimo, filosofico. Sono venuti meno i riferimenti stabili
della democrazie liberali ottocentesche. Non c’è dubbio che un sano scetticismo
verso due estremi opposti poteva apparire sensato. Egli stesso, peraltro, più
avanti scrive: “Un’incerta e timorosa dissimulazione delle contraddizioni non
ci condurrà fuori dalla crisi dell’estrema destra e sinistra politica, le
quali, esaltando ai fini della propaganda il passato o il futuro, dimenticano
che la loro posizione attuale non è immune dalla stessa critica.” 2
Con
un certo margine di approssimazione questa rappresenta la posizione
dell’attuale scienza della politica, e interpretando lo stesso Mannheim
possiamo obiettare che è pur vero che la scienza si basa su dei fatti, ma i
“fatti” umani (sociali, politici, economici) non si verificano in modo naturale
come la pioggia, essi sono il prodotto di aspirazioni, valori, ideologie. Non
s’intende affermare una tendenza idealistica, i valori le aspirazioni ecc. sono
essi stessi il prodotto di un dato sistema storico. Agire sui fatti significa
anche condizionare i successivi valori, per esempio. Sicché sarà possibile fare
della scienza politica ma è sempre possibile anche fare della “politica della
scienza”, e questa politica come si trasforma in scienza? Vi è sempre un
momento, in sostanza, in cui il giudizio è un giudizio di valore: l’esempio del
“progetto genoma” dovrebbe essere più che sufficiente per capire ciò che
intendo.
Pierre
Bourdieu sostiene per esempio che la sociologia non può rinunciare a operare
all’interno stesso del sistema sociale, la necessità dunque per l’intellettuale
di fare “critica sociale” (e credo che egli stesso ne fosse un esempio).
Zigmunt Bauman afferma l’impossibilità della neutralità morale del sociologo
riconoscendo un ruolo di interprete e non di guida, e di faro come vorrebbero
alcuni, nelle scelte reali. Raymond Boudon, anche se su prospettive molto
distanti dalle precedenti, ha dimostrato diversamente dalle convinzioni di
Mannheim che l’intelligentsia non è “immune” da condizionamenti derivati dalla
posizione ricoperta e che queste operano al di là della loro consapevolezza.
Credo
che la fondazione di una scienza della politica sia divenuta, per le classi
dominanti, particolarmente necessaria con l’emergenza della borghesia, ma in
particolar modo con l’evolversi delle utopie ottocentesche 3. Era
necessario, in altri termini, da parte delle classi dominanti reagire all’elaborazione
di pratiche e teorie politiche che permettessero e legittimassero una presa del
potere (o paventassero il pericolo di rovesciarlo) di forze storiche emergenti
in grado di cambiare la configurazione del sistema, mostrando che sarebbe stato
possibile risolvere i conflitti razionalmente, riassorbendone le pressioni
devastatrici.
In
sostanza per la scienza politica oggi un certo modello di società può essere
utopistico tra un secolo potrebbe essersi imposto senza che la scienza politica
cessi di svolgere la propria funzione di scienza e questo può far nascere
qualche dubbio sulla sua imparzialità. “Altri hanno contribuito a diffondere un
pensiero “debole”, contrario ad ogni scelta tra significati e segni (…)
pensiero tanto più seducente in quanto favorisce, con il pretesto di rispettare
la varietà delle soggettività (…) un relativismo di bassa lega.” 4.
Se
il mio è scetticismo mi piacerebbe sapere se è contemplato tra i casi di
“scetticismo sano ” o di “scetticismo non-sano”.
Note
1 Karl Mannheim - Ideologia e Utopia Il Mulino 1957
- pag. 104
2 Ibid pag.110
3 La scienza della politica potrebbe essere
fatta risalire a Hobbes che ha affrontato in modo sistematico la questione
della <> come possibile oggetto della conoscenza
<>. Potremmo risalire ancora più indietro nel tempo da
Machiavelli fino a Platone. In tutti i casi, compreso Hobbes, è comunque lecito
definire le loro teorie <> in modo alquanto
relativo. In realtà è solo nell’ottocento con la divisione soprattutto accademica
delle varie discipline e con lo sviluppo dei metodi di ricerca che possiamo
parlare di <> come l’intendiamo oggi anche
se da ritenersi soltanto agli albori.
Per quanto riguarda la formazione e la divisione delle discipline scientifiche nell’ottocento cfr. Immanuel Wallerstein - La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei paradigmi ottocenteschi - Il saggiatore – 1995
Per quanto riguarda la formazione e la divisione delle discipline scientifiche nell’ottocento cfr. Immanuel Wallerstein - La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei paradigmi ottocenteschi - Il saggiatore – 1995
4 Eugene Enriquez – Dall’orda allo stato.
All’origine dei legami sociali - Il Mulino – 1986 - Pag. 28
Foto di Elena Paquola
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